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Uno spettro si aggira nel cratere. Sentieri impervi di una ricerca militante nel post-terremoto dell’Appennino Centrale

 

fondazionefeltrinelli

“…dopo tutto, esiste una cosa come la verità”
– Victor Serge, Il caso Tulaev

La lunga serie di eventi sismici che per oltre un anno investe l’Appennino centrale tra il 2016 e il 2017 si configura come un disastro naturale inedito per frequenza e vastità dell’area interessata nella moderna storia italiana. Dalla constatazione della straordinaria complessità della situazione emerge, all’interno delle assemblee dei volontari impegnati nel post-sisma, la volontà di sostenere una ricerca che mettesse in relazione le conoscenze generate dalla pratica mutualistica e dalla politica attiva con l’approccio della ricerca scientifica. In un quadro di rivendicazione del ruolo della produzione intellettuale dentro ai processi di lotta.

Nel dicembre 2016, da una call for research nasce il progetto di inchiesta sul post-sisma dell’Appennino Centrale ad opera del gruppo di ricerca Emidio di Treviri (da ora EdT). Decine di dottorandi, militanti, accademici e professionisti aderiscono all’appello dando vita a una esperienza di ricerca collettiva e autogestita che da oltre quattro anni studia, approfondisce – e restituisce – i vari aspetti critici del post-sisma. Sin dal suo esordio, la volontà del gruppo è stata orientata a costruire un percorso di analisi strettamente legato alla militanza, basato su un continuo confronto di coloro coinvolti nei processi del post-disastro. In questo senso forse, di coniugare il portato del lavoro intellettuale in relazione con la tensione trasformatrice, procede dall’eredità della tradizione rivoluzionaria, compreso lo sforzo di Victor Serge.

La tensione pubblica della ricerca ha lavorato principalmente su due crinali: quello della ricerca e quello della lotta. Il crinale della ricerca, ovvero l’attività di EdT più legata alla convegnistica/seminariale e strettamente scientifica, è stato perseguito con il fine di consolidare il gruppo nel posizionamento critico della ricerca applicata da un lato, e rivendicare la riappropriazione dell’inchiesta militante collettiva dall’altro. La diffusione del progetto all’interno della comunità scientifica, universitaria e politica è stata utile nel sostenere la percorribilità delle soluzioni al di fuori delle istituzioni accademiche, proprio dove più frequentemente si accumulano le maggiori potenzialità innovatrici quanto a interdisciplinarietà, produzione di sapere e immaginazione cognitiva. Allo stesso modo, la rivendicazione dell’attualità del metodo collettivo e posizionato, è servita a sostenere la possibilità di fare ricerca sociale tramite l’autorganizzazione, anche in un panorama culturale dove è egemone la produzione accademica sempre più schiacciata tra quantitativizzazione della valutazione e dispositivi di selezione e cooptazione.

Il secondo crinale su cui si è concentrato lo sforzo divulgativo del progetto, come accennato, è stato quello delle lotte nel e dal cratere sismico. Da un lato la proiezione verso l’esterno, che è avvenuta (e avviene ad ora) tramite la diffusione sui vari livelli del dibattito pubblico (dai media convenzionali, fino ai festival di movimento) declinando il contributo in base al contesto: dalle criticità della gestione emergenziale, fino alle tematiche legate alla lotta dei terremotati e degli abitanti delle aree fragili. Un rapporto, quello con l’esterno, non unidirezionale, da cui il gruppo ha tratto spunti, intessuto legami e relazioni, nonché risorse e credibilità.

La dimensione maggiormente caratterizzante e più strettamente fondante dell’aspetto pubblico del progetto di ricerca riguarda l’intervento all’interno del cratere, in particolare la restituzione e il lavoro con gli abitanti delle aree terremotate. L’idea che la ricerca scientifica necessitasse di un confronto continuo con il territorio, in una relazione dialogica tra soggetto e oggetto, ha portato infatti il collettivo a impegnarsi in una costante diffusione dei risultati ottenuti in fieri dai vari gruppi, attraverso eventi, incontri pubblici, seminari, summer school, mostre, assemblee etc. Il lavoro del gruppo di ricerca, già a partire dalle sue prime fasi, è stato mosso dalla volontà di adottare la conoscenza come un’istanza di partecipazione ai processi in atto, nel tentativo di intrattenere una conversazione continua con le voci, diverse per contesto e per condizioni, dei soggetti coinvolti; una dimensione, quindi, in cui la produzione di conoscenza scientifica si combinasse con l’impegno per la trasformazione. Non la mera adozione di una metodologia partecipante (Ferrarotti, 1961), ma la pretesa di costruire progressivamente uno strumento di lotta. Il fine è stato infatti quella di ripartire dalle molte periferie che lo sviluppo genera (Mezzadra in Garelli – Tazzioli, 2013) inclusi i territori “marginali” (Carrosio, Osti, 2017) colpiti dal sisma, per esplorare – e disarticolare – la relazione tra produzione del discorso e spazio dominante.

La seconda fase della traiettoria di EdT si è concentrata sulle problematiche legate al lento processo di ricostruzione e di ridefinizione dei territori “alti” nell’ambito del post-disastro. Un processo non semplice, quello di allargare lo sguardo e tentare di interpretare la crisi del terremoto dentro a una parabola con un lungo “prima” e un fumoso “poi”, intendere quindi la crisi del terremoto dentro all’ultimo miglio del declivio della civiltà contadina. Ma soprattutto allargarlo fino a includere le condizioni invisibili che rendono marginali quei luoghi e chi ci vive: la sudditanza nei confronti del potere, soprattutto quello capace di determinare la capacità di aspirare spiegando i dettagli, urbani, di cosa volere e come.

Fare i conti infine con la verità, con la fine dell’utopia del “soggetto terremotato”, riconosciuto invece come mondo composito di pratiche e interessi talvolta discordanti, talvolta nemici nei confronti della classe, del processo collettivo e financo del contesto ecologico.Una consapevolezza latente che è cresciuta sommandosi alle altre variabili che nel frattempo affaticavano il proseguio sic et simpliciter di “Emidio di Treviri”.

Anche per questo abbiamo teso verso la dissipazione del progetto di ricerca in una serie di sotto-progettualità che avessero un puntuale orientamento alla prassi, consolidando le linee di ricerca-azione. Sono stati individuati differenti filoni di azione, generati in continuità con il lavoro di analisi svolto durante l’emergenza, da perseguire con obiettivi e percorsi strategici decisi in autonomia. Il gruppo di ricerca ha perseguito progressivamente un percorso di smembramento in una serie di soggettività minori, con l’intenzione di assumere una “postura destituente” (La rose de personne, 2008). Il tentativo contro-egemonico, in questo senso post-gramsciano, nasceva in un panorama che sul piano dell’attivismo e dell’intervento politico manifestava tratti non minori di complessità epistemica. Squilibri che facevano acquistare all’ipotesi destituente ancora più concretezza. Era sempre più difficile infatti continuare a sostenere il piano vertenziale dei terremotati, ormai spersi nell’esodo dello sfollamento, quando non sussunti dalla ormai efficiente macchina commissariale negli aspetti più tecnici dei proprietari di seconde-case e residenti-intermittenti. Sempre meno praticabile il livello dell’attivismo organizzato, con gruppi minoritari stretti dentro a processi calanti e fortemente autoreferenziali. Sempre più anguste le vie per un confronto con le istituzioni accademiche e del potere locale, che ormai agganciate alla spirale della Grande Progettazione del rilancio delle – cosiddette – aree interne non lasciavano il minimo margine all’interazione col basso. Sempre più sordo il dibattito degli addetti ai lavori a tematiche sulla montagna che non fossero le immagini del ritorno dei neo-popolatori e le best-practices a favor di SNAI.

Un orizzonte crepuscolare che sembra riecheggiare rileggendo le parole di scoramento in cui si trovano i rivoluzionari dell’Ottobre russo. (Con le ovvie asimmetrie del caso) la sensazione di vedere scivolare via le potenzialità dell’intervento militante teorico, arenato tra limitatezza dei mezzi propri e condizioni ambientali avverse, ha trovato echi nelle note fosche dipinte da Serge a proposito dell’incagliarsi della prospettiva di costruire il mondo nuovo.

Nonostante queste condizioni percepite come oggettive difficoltà per l’intervento, il progetto ha deciso di rimanere attivo portando a compimento i percorsi intrapresi dai sotto-gruppi di ricerca-azione,e  rafforzando lo sforzo dedicato alla produzione critica sull’Appennino con la Scuola di formazione EdT (nel 2021 alla 4° edizione) e la costruzione di un archivio sulla produzione scientifica indipendente.

Proprio perché nonostante le potenzialità inesplorate, i limiti e le difficoltà, non è venuta meno la necessità di rilanciare il posizionamento critico che nasce all’interno delle dinamiche applicate, militanti, autogestite e tese alla trasformazione sociale. Ovvero dai luoghi dove la scienza sociale ecologista e critica ha la possibilità di giocare ancora un ruolo rilevante nella produzione, accumulazione e condivisione di conoscenza nonché nei processi di cambiamento sociale. In definitiva: coltivare il seme della critica, nell’auspicio di tornare a navigare i monti in tempesta.